- - 3 Autori - - Simoncelli Stefano





nove poesie da "La rissa degli angeli"







"Riproviamoci" t'incalzo
con l'ultimo filo di speranza,
l'ultimo coraggio "riproviamoci"
come l'altra domenica che era tardi,
nevicava, ti eri infilata il montgomery,
ricordi? quando ti sono venuto accanto
cominciando a slacciarti gli alamari,
ad aggrapparmici... Sì, che ricordi,
ricordi benissimo. Conosci il gioco
e come va a finire: che poi ci ripensi,
e ci mettiamo a ridere, a toccarci, a...
Ma oggi non abbocchi all'esca.
Non abboccherai.
In mezzo alla camera,
nella luce che t'ingigantisce sul muro,
ti annodi maldestra la mia cravatta,
ti aggiusti la giacca troppo larga
camuffandoti da uomo pronto
alla prossiama avventura...








"Nessuno per il corridoio?" mi chiedi
appena entrato. "Nessuno" rispondo
con lo spasimo in fondo alla gola di gridarlo
lungo le scale e dalle finestre
che siamo qui, ci stringiamo
con la paura d'animali braccati
nell'hotel dove ha lavorato Stalin...

(Ancona. Hotel Roma e Pace)







"Non ti abbandonerò mai" quasi gridi
forse rubando il verso a una cantautrice.
"Mai" ripeti nell'auto parcheggiata
chissà dove. Tutti e due sappiamo
che non è vero, ma io ti credo,
patetico e ridicolo
fino alle lacrime, ti credo.






"Giocassimo a nasconderci
anche all'inferno mi scoveresti"
dici sbucando all'improvviso da sotto
i lenzuoli dopo l'amore, nella tregua,
mentre stavo proprio chiedendomi
dove avrei potuto rintracciarti
e come farmi riconoscere
la volta che sarei tornato
per farti festa e abbracciarti
camuffato da vento per i viali -
dietro che angolo, palazzo o corteo
ricominciare con te la mia avventura.








Bambini senza giochi giocavamo al telefono
con due scatole vuote di lucidascarpe
collegate da un filo di spago
cosparso di cera
e davvero qualche parola arrivava,
come se comunicassimo per cavo transoceanico.
(E' così allora, mi domando in una cabina
fuori servizio sulla Medison,
che dovrei raggiungerti
per ascoltarti i battiti del cuore
che attraversano di notte l'Atalntico
contandoti i respiri? Così, vorrei sapere,
come quando ti ho parlato d'amore
dal fondo di una scatola
e non eri nata?)

(New York 1991)







Amante schivo e silenzioso
dopo l'amore mi defilo
presto m'eclisso
troppo presto
e spesso con un pò di veleno.
Eppure... "Sei stato così dolce"
mi sussurri aggiustandoti sul seno
il vestito fucsia che ti copre appena.
"Così dolce" ripeti dalla penombra
proprio la volta che vorrei ferirti.






Oggi giochiamo alla ragazzina che va
per stranezze in riva al mare
e io al vecchio pieno di passato
che esorcizza al tuo fianco un male
fosco di famiglia. "Cosa vedi?" ti chiedo
da un banco di nebbia: "Vedo una conchiglia
intatta" rispondi cattiva "non toccarla!"






"Se mi lascerai, m'ammalerò"
credo di averti detto immaginando
un grande strappo nero dentro il cuore.
Ma io non sono sempre sincero: so bene
che non incontrarti, non amarti
sarebbe stata la malattia peggiore.






Una volta o l'altra tornerai anche tu
quando nell'opposto emisfero sarà giorno,
sarà primavera e qui darò un calcio definitivo
alla porta che cigola, pare a volte che mi chiami,
più spesso si lamenta, specialmente all'alba,
la casa in silenzio e io come ibernato
lungo una rotta che va per rugiade
e precipizi... - mi raggiungerai
all'ultima fermata nella notte
inventando nuovi codici, intermittenze
e ti meraviglierai ci sia tanta distanza
tra le nostre facce che si guardano,
tanta scelleratezza del tempo,
tanti vuoti di memoria
se non ricorderai dove abitavo
e cosa bastava per vedermi sorridere,
se non ricorderò come portavi i capelli
e com'era bassa la luna d'agosto sui canali...