Antologia


Alessandro Ceni






otto poesie da "Combattimento ininterrotto"






Tra il vento e l'acqua

Da questo punto in là iniziano i gridi,
che nessuno sa come sia possibile.
Da questo punto preciso in là iniziano i gridi
che si emettono come sonde nello spazio
o missili predisposti al non-ritorno o inquiete macchine
che stanno, percosse da violente scariche di energia statica.
Questi gridi che nessuno sa non provengono, non giungono,
semplicemente iniziano nel punto preciso in cui iniziano.
Certo è che là ci sono frasche urticanti, i raffi
della robinia e il pruno acuto, le aste zannute di aranci amari
e limoni acerbi, e ogni pianta portatrice di spino e
tutto ciò che punge, il fitto e aguzzo schermo delle rondini,
gli intrichi puntuti di minimi animali che vanno
in acuminate onde o s'impigliano ai nembi di un rovo,
e l'aculeo è il sommo bene.
Certo è che è certo che sul limine
l'uragano delle parole fonde e, unica, si accende,
mulinata dal pungiglione nella puleggia di cuoio, la
pietra focaia dell'inarticolazione: di qua
tutto è infelice e indigesto,
gli uomini vanno servi, le donne prostitute, i bambini
vomitano densi liquidi verdi e cacano nero.
Di qua in là ci senti l'uccello che non canta,
il pesce che non nuota, che non verrà a riprenderci nessuno.
Non vi si distende la grazia di nessun Signore.





Autocombustione

Mai in loro presenza.
Bensì dalla distanza, abbracciali,
quando sei invisibile e lontano, tutti,
affetti e amici.
Mai in loro presenza.
Lascia che il fiume sciolta in te la zavorra della speranza
si volga a controllare gli scalmi
e discenda le numerose anse del suo andare, che moltiplichi,
sgomiti, macini sassi stesi ed erbe insane: cose, tutte,
facilmente immaginabili: il fiume trasporta
banali cose: lo scomparso dato per scomparso, il
frammento del figlio rotto, la prestanza del drudo
e l'ignominia della sonda, l'incontrollabile pornografia
della salvezza inalberata e il registratore
con incorporato il fantasma che assonaglia
catene da neve fuori scena o goccia a goccia
come collirio o flebo si esprime: rumori e insistenza.
Stringili al cappio del tuo infelice pensiero,
alla gomena del capestro della tua mente e,
allentato il solitario argano, impiccali,
sequenza per sequenza, nell'inutile cassero del tuo angusto cuore,
affinché come vibratili fiaccole dentro una caverna
o agitate ricerche sopra le rughe del mare o
grida controvento tra il vento nel frumento
restino avvedutamente inconsapevoli e più saggi
così privati del tuo nascosto cuore.





Ricovero per indigenti


Dio chiamò a sé
e lo fece
ardendoli vivi
in
un edificio scolastico
nel
modo più vile, nel sonno,
in un orfanotrofio
o fabbricato
dismesso o villaggio operaio o
ronda di casiglianti lungo i
perimetrali degli averni condominiali,
nelle
dimore di pena
annegandoli
tenendo
loro sotto la testa
nel
lavandino del mare comune
se
salpano festanti
su
navigli di silicio,
le negri pelli di
ebreo tese al sole ad asciugare
esplodendoli
su mine inesplose
schiacciandoli
in
un pullman in gita
sbatacchiandoli
contro l'insonorizzato
sgabello in cui incespichi e cadi,
com'è della noce sul sasso o della drizza
sul capo del figlio di Ettore
appoggiandoli
alla
benda della fucilazione
al muro delle
fibule, alla foglia d'alloro
al gabbio dei
ricordi, alla paranza di spume
concupendoli
nel tempio
evirandoli
nell'attesa
abitandoli
nella colpa
ignorandoli
nell'invocazione
e
lodandoli
mandarli a farsi la doccia
dopo il ring o la
camera ardente o la sala da ballo.
Quando
rintascato il fischietto
dio
siede lì
flesso
sul bordo sbreccato
di qualsiasi cosa,
la tesa
del cappello arrovesciata
ad una
brezza breve da colonia estiva,
le gambe
oltre la murata
scabrosa di una tazza che porgi
l'angelo cesserà di frapporsi
tra te e la fine:
sei
la madre che si
getta dalla finestra del bagno
stringendosi il piccolo al petto.






ics

La dura realtà dei fatti
abita qui con me con uno che abita con me
uno stanzone sotto a un neon, uno
che asserisce delle cose, afferma dei diritti,
dichiara dei doveri e, soprattutto, mi parla,
in perpetua emergenza di compagnia, di pasto e pastura,
rammaricandosi ad un infisso di alluminio:
una fantasima, che staccandosi dal muro, avvolta
dalla carta da parati fiorita muove
i suoi primi funambolici passi dentro il girello
di un amore funesto:

lo spettro incede rasente, a capo chino le pelle d'oca,
le pareti del bislungo box di un ricordo,
scelto tra l'ammoniaca dei suoi, lacrima
lungo il corrimano di un'esistenza tutta lampi
e tenaglie sporgendo nella stretta del pugno
il ballatoio di una candela che non dà conforto, e
spreme torchiandola fra lo stipite e il battente
l'aceto della nenia di una memoria:

la dura realtà dei fatti
dorme con uno sconosciuto in una carcassa
d'automobile, ha moglie e figli sui sedili sfondati,
erbacce tra i pedali, stringe un volante di fumo,
fa il clacson con la bocca: e una lunga
strada carambola ai suoi piedi, imposta
la triste curva che balugina l'apice della montagna
per serpeggiando disparire come un graffio sul vetro
in un vallone, e scorrere con l'acqua
nei tubi della casa di una donna mestruata,
giunta dal nord, da un Canada, come
giunge il vento artico a chiudere l'anno.





Transito della Venere selvatica

Sopra sovrassalati spazi
e di là da dune,
dove ardeidi tantali e cesene
rugolano le spoglie chitinose degli insetti
in repenti cretti adusi di ghiareti o
sbrezzano in semplici depressioni del terreno
le indifese coppe colme di niente dei loro nidi o
sventolano sulle darsene le sagome di cartone dipinto -
straniera e solitaria
silvide oscura
sottesa al magro verde di uno sconosciuto -
la femmina fa udire un rauco grido di richiesta:

Poiché costretta nell'arena del canto
debbo accovacciarmi
sul pavimento della camera che mi accoglie -
la mente altrove e lo spirito sempre -
tra reti di pesci, rigurgiti e feci,
là dove, mascherato ed anomino,
è più altissimo il mio dardo canoro
e dirti forte e chiaro:

Non disperarti per questa bambina,
qui è la sua virtù, qui è il suo vizio,
qui la sua ignoranza, la sua conoscenza,
e i suoi complici sono se stessa -
la vera camera ha l'entrata occultata,
l'altra (la prima) resta vuota
per deludere coloro che la visitassero.





Tempio

Eccomi, irriducibile tramite tra il cielo e la terra,
eccomi tra di voi, piante, officiante a medicarvi,
eccomi tra di voi completamente nudo e duro, pronto
a ingravidarvi al vostro minimo assenso:

come l'animale che libero siede e si volta
una sola volta a controllare se ci sei
e si appaga della sola tua presenza, un attimo prima
che l'intera foresta balzi e strepitando gli muova incontro,
così è il mio amore: asciutto e privo di ogni gioia:
nello stesso modo i delusi si separano o
un uomo viene fatto scendere alla frontiera:

ma, simile a chi si desta in un letto non suo e,
dimentico del presente inconsapevole del passato, non sa
e si domanda e bussa alla sua propria porta, vengo
umilmente a celebrare in voi me, a date stabilite,
il vostro inverno e la vostra primavera in me:

non ha prove il buon fabbro
quando pinza l'altrui morte: la forgia
al fastello delle proprie fiamme, l'afferra col mantice
dei sospiri, e poiché la morte ha un breve prologo nella vita
egli su di lei batte dal nulla un'incudine d'immagini:
una sconosciuta lacrima lo tormenta
un inusitato granello di polvere gli angoscia nell'occhio,
l'indesiderata stilla che friggerà sul suo ferro raffreddandolo:

così, dinnanzi a voi, piante, mi nomino al neutro,
l'indivisibile, il sempre scisso,
accordo al vostro muto campo il mio sonaglio
e spezzo ogni legame come fossero fili di lana.





Uomo alla finestra del palazzo di fronte

Non dico, no, torna a casa
e picchia tua madre; dico:
torna a casa e guarda tua madre
come se volessi farlo; meglio,
come se l'avessi fatto: soprattutto d'estate,
quando la borra o la pallottola di fango secco
si fissa definitiva nell'interstizio
e la caldara del cielo
è una canopia di acque caustiche
e la madre v'immerge il carcame del petto,
e la pula, la loppa, la gluma, la loia,
la cote, la mola coltello alla mano
la guardano come se l'avessi fatto,
soprattutto d'estate
guardala anche tu
come dall'interno di un cadavere, le
palle in bocca, animato da buone intenzioni
ed accennando un rispetto: soprattutto d'estate,
quando una sera che, secondo il solito,
vai vagando per i cortili e le corti di servizio
allo scopo di fiutarvi la carne cruda,
e lui e lei se le dicono sul muso
e uno sbuca da un'ombra
conversando
come un fluido d'uccelli che sigilla,
i tuoi occhi, fattisi buio,
ora distinguono
in cumuli compatti ai bordi della via
la bassa mercanzia con cui s'intrecciano i sogni,
l'onesto ciarpame adatto per volare e/o nuotare,
parlare agli animali e/o sott'acqua, essere invisibile e/o
salire e/o scendere le scale, smarrirsi
e/o trovarsi impagliati nell'erba i sintomi, la malattia,
e quel che ne consegue:
tua madre picchiata a sangue,
il defunto si alza dalla tavola imbandita.





Nella valle dello Scesta

Le
albere
lungo
le prode
di un bosco che dorme armato o veglia in armi belle
come una donna che si netta le dita dei piedi
e se le annusa
sentono l'odore della carne:

In questo punto
si rilevano tracce d'inseguimento,
col soggetto in esame che scarta
ora a destra ora a sinistra,
per poi compiere un semicerchio e
concludersi in una continua scia tra le foglie
o perpetua macellazione tra le foglie
o fortore di bestia inferma tra le foglie
o rapido slaccio di cintura tra le foglie,
perché qui, probabilmente, ha gridato, come
si evince dalla pesta più profonda
nel composto dell'umida vita
lavorata di fresco:

Dando però le spalle a chi guarda,
un poco in basso sullo scendere
sotto un fastello di voci contraffatte,
è un gioco interrotto,
un razzolio di fanciulli defunti
passati per lo scolo in un magato sottosuolo
e qui tornati a giocare
da chissà quali periferie,
è un sacchetto, un vaporio di cantilene,
un mazzo di cannucce,
portati a una festa dolorosa come un involucro:

Certo qui i ferini bimbi
hanno marciato sicuri in battaglia
massacrato i nemici condotto autentica guerra
sono morti e guariti
battuto piste in cerca di compagni feriti
hanno fatto detto baciato lettera e testamento
hanno proclamato io sono il capo della casa
io sono il custode del pane
privo di autorità autorevole privo di sovranità sovrano,
certo qui le mansuetissime bimbe
hanno figliato maschi ai guerrieri
in pentolini cotto invisibili pasti atteso
in piedi in turbini di neve avvolte in coperte
indiane che regredendo il fronte del ghiacciaio
sortissero dall'anfiteatro i cacciatori, hanno allattato:

Qualcosa
date le circostanze
è comunque intervenuto, perché -
il bossolo lo s'immagina - secondo possibili
traiettorie e considerate le resultanze
ripassando molti anni dopo da qui,
il corpo avrebbe dovuto trovarsi sghembo
rispetto al senso di marcia delle cose,
ed ecco invece l'anello della sposa
ecco la sua camera di ragazza madita di sperma freddo
ecco il dovere, il rispetto, l'onore
che la selva in piedi alitando le tributa
come per cosa grande e irrevocabilmente perduta:
e tutto questo se il cadavere ci fosse,
e non ci fosse soltanto qualcosa di caduto, di pesante,
un odore di zoo, di dromedari, di presidio abbandonato:

Verticalmente
scorre il pianto,
la traccia del detritico sentiero
di coloro che viaggiano da soli
che sono luce a se stessi,
sul quale deve aver scivolato il piede in breccia,
indizio di fuga o prova di resistenza,
come di vedova che rimesti tra le carte di lui
o lenta abrada in mezzo al brusire la fustaia
con indosso postumi abiti:

Eppure, rumori di avvicinamento,
di cerchio grigio, di sensazione che
fuori ci sia cosa o chi
voglia entrare senza però riuscire a capire
se il tuo canto serva a tenerlo lontano
oppure ad adescarlo, di elicottero che non s'alza
e insiste sui motori, di remota segheria alpestre,
di valico, di acque per fessure, di
telefono non riagganciato con dentro
uno che si sposta, un criccare di pliche,
di bottinatrici che s'inselvano, di spore,
di sagittale liberazione, di scomparso
in solitaria ascesa, di staccionata che geme,
di cancelletto che sbatte per il continuo
svellersi dai luoghi e rinunciare, di
spostamento, anche, di occultamento, quindi,
d'inoltrarsi per la sutura in piccolissimi branchi -
tre o quattro elementi scelti al massimo -
dei predisposti e preparati
all'implacabile pace, all'infinita fine.





Patrizia Lischi





Genealogia







Ivan F. Piccioni





la misura circolare di Friedrich Shelling

alle terre rosso sanguigne, al bistro
degli orsi stampigliati
il vano di conchiglia rupestre brucia e rabbrucia
farine molli di ematiti
"Erano per loro cattedrali e manti
modellati sull'ignoto, erano madri
di argille di fuochi
dove illuminare il canto e le frecce invelenite
- lontani dal sacro e dall'indecoroso
già quelli ridussero pianure
in linee orizzontali, poggiandovi gli uomini,
il tuono, i volti del piacere".

ora le vede
fuori il chiaro delle stanze
quelle presenze druide scolorire i rovi
con l'indice e il medio "Inghiottono veloci"
sieri e granuli maturi
"Eppure...
quale anima decise il verbo
se
chi raccoglie una voce, lì trova un corpo,
tocca il duro"
il margine sospinto dai padri,
impercepito.

"Non aveva contratto leggi
chi alzò le unghie per strappare" e le alza
verso acini neri "Non c'era ordine né sapienza
nel gesto che decise" e l'incide, li preme
tra le mole dei palmi
"Quel giorno inventarono le mani".

aprirono varchi sui gusci dei nidi
attraversando l'evidenza e la materia indifesa
che nella mente evoca il dono
"Bastarono profili d'ocra (ignari dell'ombra)
e segni da una coda involta, fecero meraviglie
di bisonti e sentieri e stelle ripide sulle pareti".

dal buio sa piegare altre notti
verso l'origine delle tane, riconosce fondali
e agguati sordi, umanissimi
- è un dio tigrato a sollevarsi
è una rondine suicida, una cometa
livida e sola
"Cos'altro scuote il pensiero
quando il corpo muore, quando ingenera i simili
e i contrari..." cercando l'unico essere,
l'innumerevole.

scrivi, dunque, "Io stesso nutro l'infinito,
ne sono alimento e sembiante: sono l'insetto, la scorza,
la furia..."- chi ti trattiene?





del nostro fogliare

hai di perle liquide le notti
e l'odore denso, rampicante
dei labbri a corona, dei mille musi
affacciati sul precipizio di spine

(interrai giovani le tue radici,
osservando l'eclisse e la sete versavo
acque in cerchi dal mio bicchiere,
per essere comunque attento
al diverso fiorire e a rifiorirti
accanto
nuovamente smosso, cresciuto, avvolto)...

in te ho nutrito decenni di calabroni,
generazioni non mie
di passeri o locuste, di benedizioni o fughe
nella vicina promiscuità solare

(e com'eri azzurra verso l'alba,
come restavi alta
nel medesimo ieri che io
lì stordivo l'amante dolcissima
la reggevo e svanivo
attraverso la mia donna d'impronte
che subito il prato ha racchiuso: le due
sagome peste, rimaste
perdutamente
nell'incavo a scollarsi
i loro corpi d'erba rasa).





infanzia di un'acrobata

il riparo stretto di mezzogiorno
dovevo inventarlo con le mani e i salti
guardando in giù l'arenaria di poco scurita,
era l'abbaglio
un braccio diafano che tutto premeva, i muri,
le strade come bisce senza scampo,
le fontane d'estate roventi di calore.

resistere era appiattirsi
nei lembi delle crepe, in esse salire
cercando l'annuncio sottile di pergole,
una fronda di schegge
(risento la spina curvarsi
gli occhi ruotare nell'ansito
- le nostre corse di calcina a perdifiato
finite le scogliere e l'orizzonte).

la tirannia meridiana esige
una giornata conclusa, un verso
impresso alla sera,
quasi ogni respiro dovesse giustificarsi
o risplendere
sulla pelle fatta di aghi e raccolta
prima del buio, come pettinata...

ora le pareti sono scoscese, gli angoli
della piazza uniti - la mia ombra si stacca
dai fianchi e riveste più di cento visi.





geometrie nomadi

"le palme sono fecce scagliate senza fretta
negli ordini del vento che in loro sosta,
di ognuno sanno il percorso dai cieli
agli oceani vicini di acque o sabbie - esse
rammentano il volo,
tremano ancora".

la stecca d'ebano riscende
unendo angoli distanti, ipotenuse d'erba
sul velluto lucidissimo del vecchio
-il mondo è fermo,
chiaro da far male come la voce
se chiede
"dove s'incontrano due parallele?"

(il ragazzo ricorda la vela nel cerchio
del mare che l'assedia, ricorda
le braccia tese per chiamare
un'invisibile costa - tra i suoi occhi erano le mani
l'ultimo confine) "mai, maestro,
mai si uniscono due linee gemelle".

il vecchio sorride perplesso
e sedendosi stringe un pugno di rena
lasciandola cadere "cosa scende, cosa la spinge...
gli uomini dai pensieri d'uomo
stanno tra grano e grano, quel tanto, nemmeno,
e questa terra sarà più forte.
tu, giovane, scrivi: due parallele
non sanno toccarsi - si toccheranno subito
se il Dio fa un cenno... noi
non potremo impedirlo".

dai monti i cavalli annunciano sangue
e otri nuovi d'asciugare al sole
- i fuochi hanno pronti gli odori, i versi
delle madri fuori le tende.

"presto il mondo sarà curvo, presto cercheremo
l'ago del tempo tra le spira di un cobra"
grida la donna,
lo grida dal crinale
per il fratello ormai adulto, per se stessa
pronuncia
i nomi segreti che le confida, quelle figure
incise nel porfido
dove le mani si confondono
"il buio non mangia la luna, essa l'aggira
- tu trova una duna dritta, trovala - ti sembra
piatto questo sasso e l'iride, la mia,
è sempre un tondo quando si allarga?"
e complicando
"qui hai lo zenit, avvicinati:
sono cateti, sono radici rapide come stelle,
di mese in mese devi moltiplicare
se vuoi ottenere il giorno in cui cadranno..."
lei vede nuvole salire a spirale
segue la macchia del falco, le altre luci
che arricciano le vesti e le movenze molli
dei nomadi al passo.

"nessuna piramide avrà base infinita"
preosegue il vecchio
"nessun numero fuggirà dal suo punto - voi soltanto
siete l'inizio che non termina".

lei sulla scesa
piega la stuoia, lentamente
il collo con il ciclo del sole
- ha creduto, ha cercato dietro mille sfere
la sua goccia interiore, e sognando
nelle migrazioni richieste
negli sfoghi notturni ha giurato
alzando nudo il ventre - adesso
chi sostiene i calici, i suoi sensi
se versa...

"nessun segno risolve il nostro aspetto,
mai troverete sostanza nella figura - guardate,
invece, solo questa pietà
vi salverà gli occhi".





foreste

discuto
tra alberi secolari
con gli amici lontani (con le loro voci)
che veramente qui ascolto, sul principio, o sommo
al primo battito d'ali, a un girare di foglie
se a tratti accade
di tacere insieme o proseguire
la percezione del momento, di cosa io volentieri
accudisco (per loro soltanto)
e vado ragionando e spiego
attraversando terre d'ombra o tagli luminosi, slarghi
di notizie e gesti e molti affanni
riuniti da un tepore improvviso, da un singulto
dovuto a questa concimaia piena di anime
dure a svanire, piena
delle lunghe risposte avute
senza domandare.





il venditori di richiami

ora guardate
quale leggerezza sostiene le nubi
se poi non posseggono pesi apparenti
né corpi, o tutti li assorbono
nell'immenso nulla trapunto di luci.

sulla terra una corsa le dimena
le scroscia da budelli e ferritoie gassose
che annunciano al mondo
il miracolo e le piogge
(la comune semenza, la secrezione grande)
quasi dovessimo raccoglierle
stilla da stilla nelle nostre bocche aperte,
siano esse sorgenti o bicchieri di voci,
per subito cantare l'assurdo e il risveglio
di cento passeri in gola.





la collocazione dei roghi





a Nicola Copernico





"la Scrittura ha fermato il Sole, mai la Terra,
mai questo suolo
che respira immobile il creato
- si arrese la stella nel suo solco d'aria
non l'oceano disteso,
non le montagne".
così giurarono i monaci calendaristi.
al fanciullo insonne venuto da Torun
al magro corridore sul Lungovistola acciottolato
il maestro Abstemius Wodka
indicò sui lastroni la meridiana
aprendo le dita come un compasso - e il ragazzo
voglioso di torri scalmanato
di donne e mescite adriatiche
ne serbò il pegno sull'astrolabio,
quando la fissa Aldebaran s'inghiottì nell'astro
e lontanissimo in merli matematici
al Tevere di quella computò l'eclisse
- l'uomo dopo il ragazzo ricondusse
gli uomini in dimore commensurabili.
al Joshua dei credenti, profeta di un cielo opposto,
sottrasse il centro e il minimo
sussulto - "Nicola fermò il Sole",
così ora è scritto.









diaframmi

la punta
del palo dal celeste si scuote
e invola via una tortora
(da tempo lassù nascosta
nell'identico colore del legno) che ora liberissima
vacilla sul sertame dei fili
e scioglie l'arcano delle ali, distanzia cosa
con estrema grazia decide
chi è sasso e chi piuma
(o questa
idea della costola
prima di ogni respiro).





all'ora

ogni sera di sera rinserro
le ante dure dei legni, chiudo l'aria
la divido
con le reti a ghigliottina - sul fare
di ogni notte creo muri di vetro
sigillo le figlie l'odore i respiri
nella chiocciola del giorno
che ruota, si assesta
in colpi secchi di ferramenta
- ogni sera qualcosa fuori
scivola e fa rugiada
in un sereno fuggire di stelle
(oh, le sento ridere nel contarmi
l'ossa o le sequenze del metallo
in punta alle dita)
- ogni notte di questo tempo
chiedo spiegazioni all'assedio, gli chiedo
notizie sulla guerra a venire, su cosa calpesta
quella riva, quelle sponde
che assorbiranno i sonni del bosco, il mio senno
di pugile
con gli zigomi pesti.





Stefano Simoncelli






nove poesie da "La rissa degli angeli"







"Riproviamoci" t'incalzo
con l'ultimo filo di speranza,
l'ultimo coraggio "riproviamoci"
come l'altra domenica che era tardi,
nevicava, ti eri infilata il montgomery,
ricordi? quando ti sono venuto accanto
cominciando a slacciarti gli alamari,
ad aggrapparmici... Sì, che ricordi,
ricordi benissimo. Conosci il gioco
e come va a finire: che poi ci ripensi,
e ci mettiamo a ridere, a toccarci, a...
Ma oggi non abbocchi all'esca.
Non abboccherai.
In mezzo alla camera,
nella luce che t'ingigantisce sul muro,
ti annodi maldestra la mia cravatta,
ti aggiusti la giacca troppo larga
camuffandoti da uomo pronto
alla prossiama avventura...








"Nessuno per il corridoio?" mi chiedi
appena entrato. "Nessuno" rispondo
con lo spasimo in fondo alla gola di gridarlo
lungo le scale e dalle finestre
che siamo qui, ci stringiamo
con la paura d'animali braccati
nell'hotel dove ha lavorato Stalin...

(Ancona. Hotel Roma e Pace)







"Non ti abbandonerò mai" quasi gridi
forse rubando il verso a una cantautrice.
"Mai" ripeti nell'auto parcheggiata
chissà dove. Tutti e due sappiamo
che non è vero, ma io ti credo,
patetico e ridicolo
fino alle lacrime, ti credo.






"Giocassimo a nasconderci
anche all'inferno mi scoveresti"
dici sbucando all'improvviso da sotto
i lenzuoli dopo l'amore, nella tregua,
mentre stavo proprio chiedendomi
dove avrei potuto rintracciarti
e come farmi riconoscere
la volta che sarei tornato
per farti festa e abbracciarti
camuffato da vento per i viali -
dietro che angolo, palazzo o corteo
ricominciare con te la mia avventura.








Bambini senza giochi giocavamo al telefono
con due scatole vuote di lucidascarpe
collegate da un filo di spago
cosparso di cera
e davvero qualche parola arrivava,
come se comunicassimo per cavo transoceanico.
(E' così allora, mi domando in una cabina
fuori servizio sulla Medison,
che dovrei raggiungerti
per ascoltarti i battiti del cuore
che attraversano di notte l'Atalntico
contandoti i respiri? Così, vorrei sapere,
come quando ti ho parlato d'amore
dal fondo di una scatola
e non eri nata?)

(New York 1991)







Amante schivo e silenzioso
dopo l'amore mi defilo
presto m'eclisso
troppo presto
e spesso con un pò di veleno.
Eppure... "Sei stato così dolce"
mi sussurri aggiustandoti sul seno
il vestito fucsia che ti copre appena.
"Così dolce" ripeti dalla penombra
proprio la volta che vorrei ferirti.






Oggi giochiamo alla ragazzina che va
per stranezze in riva al mare
e io al vecchio pieno di passato
che esorcizza al tuo fianco un male
fosco di famiglia. "Cosa vedi?" ti chiedo
da un banco di nebbia: "Vedo una conchiglia
intatta" rispondi cattiva "non toccarla!"






"Se mi lascerai, m'ammalerò"
credo di averti detto immaginando
un grande strappo nero dentro il cuore.
Ma io non sono sempre sincero: so bene
che non incontrarti, non amarti
sarebbe stata la malattia peggiore.






Una volta o l'altra tornerai anche tu
quando nell'opposto emisfero sarà giorno,
sarà primavera e qui darò un calcio definitivo
alla porta che cigola, pare a volte che mi chiami,
più spesso si lamenta, specialmente all'alba,
la casa in silenzio e io come ibernato
lungo una rotta che va per rugiade
e precipizi... - mi raggiungerai
all'ultima fermata nella notte
inventando nuovi codici, intermittenze
e ti meraviglierai ci sia tanta distanza
tra le nostre facce che si guardano,
tanta scelleratezza del tempo,
tanti vuoti di memoria
se non ricorderai dove abitavo
e cosa bastava per vedermi sorridere,
se non ricorderò come portavi i capelli
e com'era bassa la luna d'agosto sui canali...





Gianni Zampi





Nomos dei confini

A volte mi chiedo
se per il mare è diverso -

disabitato non confina - nell'enormità
non confinante del mare
l'isola più piccola confina
con il mare: è sicuro
privilegio della terra - confinare.
Solo il mare confina con se stesso
e questo è il privilegio del mare -
l'invidia della terra.





Brennero

Ora stai fresco - qui leggo i fondi del caffè
e vedo che nel fondo dell'anima tua corrono
gli autotreni - ti telefono dal Brennero
da una postazione fissa in quota, dove
l'habitat è disabitato e anche se non si usa più
ti telefono lo stesso con le monete da duecento
che mi sfondano le tasche - ti telefono
archeologicamente, e c'è pure un certo
rischio: sono qui uomini in tuta coi picconi
e sfondano il terreno intorno - ti telefono
nel tremolio del filo, nella tempesta di colpi
alla comunicazione - nei fondi del caffè
vedo la postazione trascinata al museo
della frontiera e le monete che precipitano
costanti: parlare costa, ho ragione?
Ma è l'aria di quassù che più mi colpisce
l'aria che trascolora e si flette, che
mi sembra stanchissima. Allora lancerò
lontano la schifezza dei fondi del caffè
e dell'anima che se c'è batte un colpo -
stai tranquillo, ti dico: al chilometro zero
sono io il museo.





Confusione di anima e corpo

tante volte si siede e si rialza
la sedia sembra reggere il pavimento
e quel suo corpo sbigottito
che rimbomba nella stanza,

così sottile da sparire

nei pori nella pelle.






Toscana

Una sera - quando la luce rosata
si ritirava in su, sopra i tetti
spugnosi del paese - vidi
nel vento rasoterra di carnevale
le anime del Purgatorio in corteo
passare semplicemente vestite e
alcune ignude. Una doppia fila incerta
di curiosi faceva largo
al transito metafisico. Nessuno sfotteva.
Anzi. I più stavano zitti.





Umidità dell'aria

l'aria è umida nello scafo,
nera e lenta tra le assi cricchianti
il mare è un verde prato profondo
tagliato dal naviglio appena,
la superficie una piega sfuggente, un orlo
la fisica di un grido persistente
di pallido avvistamento
che per dirlo si perde, non si sente più





Crema

a vederti un palmo dagli occhi
appena è l'alba
mentre quelli lanciano lampi
azzurri, saltano dai cedri
ai cespugli del giardino...

non so se ho dormito
ho passato un oceano
ti dico che sono qui fermo

di mattina presto
sulla tua soglia
amorevole sorella...
nemmeno credo che mi senti
e non senti il pungitopo
o i cardellini, pure dovrò darti
un nome a colazione e dopo
sugli ossi versarne di crema
- ma toccami se vuoi, voltati
adesso.





Morfologia del terreno

C'è il mistero del sole lassù - che ci apre a qualcosa
che non scalda abbastanza - un ranocchio, una punta salda di ferro
- lanzichenecca? - mentre sfogliano pian piano
le pannocchie guardando i ginocchi femminilmente
accostati - ah, le facce, le facce tutto intorno di lavoratori
secolari, sacerdoti della fatica in questo miracolo di polvere
che abitano - volevo conoscerli, allora portai con me della
carta da appunti con la quale altro non feci che soffiare il naso;
sì in quella plaga di lento sole, rosa marrone, capii immediatamente
che non avrei preso alcun appunto o disegno, nemmeno una macchietta,
nemmeno un...
"Vieni, avvicinati, ma non troppo". Feci come mi era stato ordinato.
Non c'era imbarazzo nel mio comportamento eppure i piedi non
riuscivano a collocarsi spontaneamente sulle zolle. Come in un loro
separato delirio, cercavano, i piedi, un posto tranquillo della terra.
A mia insaputa.





Nascita dell'orizzonte

Dio distese un territorio -
a caso si posavano uccelli e nebbie
tutto quanto cercava la terra,
io penso. Perciò entrai
nel corpo vasto di Giugno
in modo vegetale, dal basso.
Già vedevo la mia mente
indicare la strada tra l'erba
flessa dal vento -
lontano, ancora pullulavano le spighe
scagliate dallo strato più fondo
della superficie. Il sole spremuto
dall'interminabile giorno s'impigliava
al grano smagliandosi in subitanee
schegge luminescenti. Ogni goccia
della pioggia recente vedevo
sgranarsi nell'aria crepuscolare
tornare alla madre-nube mentre
i piedi calcavano argille plioceniche.
Mi avvicinai a quell'ultimo vedere
nella sproporzione di un passo
più veloce dello sguardo e con un dito
tracciai una linea curva, netta
tra cielo e terra.





Somarello

Arriva domattina presto
dopo essersi avvantaggiato
delle ore più buie. Non dico
in groppa al somarello dagli
occhi oscillanti e ebeti
perché sarebbe troppo chiedergli
questo di questi tempi - tempi
poi nemmeno tanto diversi, se mai
un po' più veloci per chi dimostra fretta:
uno, e non fo per dire,
vive in un battibaleno
metà della sua vita e il resto
lo passa a guardare se stesso
passare... Arriva, portando seco
la parola esatta quella
che coincide inesorabile con l'atto
o il fatto avvenuto o avveniente.
Raccoglierò dal suo celebre
recipiente quanti più doni
sarà permesso a me perverso
tutto pieno di specchi pieni
di occhi - e lui arriva
domattina presto, ma questo
l'ho già detto.





Gradi diversi di persuasione

I

Al sommo d'un filo d'erba giaceva un
entomologo
il corpo nelle occhiaie avea tutto compreso -
non vide Dio, non ne fu sorpreso.


II

Domineiddio trova tra l'erba un giorno
uno stemma che non si spiega - ci gira
intorno a lungo. A lungo intorno a se stesso.


III

Vero è che Dio una volta sceso
sulla terra non sembrava più lo stesso -
parlava fra sé e sé, a grande distanza.





Pratomagno

I

L'eremita fuggì i confini del corpo che aveva
e poi quelli dell'anima che aveva -
trattenne per se uno sguardo solo.

Poi disse:

Ma non è questione di sguardo -
di sguardi ne fo quanti ne voglio.
E il conto da pagare salato, il ricordo.



II

Un altro eremita sedette sul roveto
gli spini arpionavano la pelle ignuda.
Seppe che Dio è in tutti i luoghi - pieni o vuoti?

Poi disse:

Le mani - se rimangono - mostrano la frazione
del corpo che contiene l'intero.
Se rimangono oltre ogni carezza, voglio dire.